I miei racconti

STORIA DI LUCIDA MANSI

Non scappare.
Siediti qui vicino a me e non aver paura.
Ho solo ossa e occhi vuoti ormai.
Mi piacerebbe scorgere nel tuo cuore un bocciolo,anche avvizzito ,d'amore.
Ma non ho più occhi ammalianti né seni prosperosi da offrire. Non ho risate cristalline come l'acqua di questa sorgente.
Ho solo una storia da raccontare e tu non aver paura.
Ascoltami col cuore.
Ti diranno di me che ero bella ma che profumavo di morte.
Ti diranno che i miei occhi erano diamanti sopraffini e le mie gambe i sentieri verso il paradiso.
Ti diranno che ero la più giovane,la più seducente,la più pericolosa.
Tutto vero.
Ero bella e golosa. Un frutto succoso che si lasciava cogliere con facilità. E perchè non farlo,perchè non farsi prendere e amare.? Cosi,semplicemente,come la tiepida primavera lascia il posto all'infuocata estate.
Prendevo quello che la vita mi regalava.
Piccoli sprazzi d'amore.
Peccato durassero il tempo di un amplesso.
L'ultima concessione al piacere e poi quegli occhi che tanto mi avevano desiderato diventavano freddi e sprezzanti.
Dicevano fossi schiava del piacere.
Niente di più falso. Ero schiava dell'immagine mancante. La mia. Io mi sentivo il vuoto che precede il burrone,l'aria dentro una brocca vuota. Mi sentivo invisibile come uno spettro.
La mia è una storia semplice sai?Non ci vogliono guizzi di ingegno o facoltà inenarrabili.
Ero una piccola bimba .Appoggiata come un paiolo accanto al camino o per terra. O ancora adagiata su un letto. Lasciata cosi per ore senza una voce o un sorriso.
A volte ero cosi sola da dubitare della mia stessa esistenza.
Feci un sogno una notte.
Ero in una bellissima stanza blu. In fondo c'era uno specchio,coperto da una fine seta rosa. Io camminavo per raggiungerlo,bramosa di vedere la mia immagine.
Tiravo giù la stoffa e un grido mi gelava le viscere.
Nessuna immagine si rifletteva in quello specchio.
Come se io non esistessi.
Mi svegliai toccando le mie braccia,tirando i miei capelli. Per rassicurarmi. Per sapere che io esistevo veramente.
A volte piangevo per sentirmi reale,a volte ridevo. Di quella risata che solo gli insani riescono a fare. Ma non succedeva nulla. Ero invisibile agli occhi dei miei genitori.
Mi esibivano come un trofeo, certamente. Perchè ero bella,ero graziosa.
Ma i loro occhi mi guardavano come se fossi aria. Come se fossi il niente.
E niente mi sentivo.
Fino al primo sguardo. Lo sguardo non più innocente di un uomo nei miei confronti.
Una carezza,un bacio e qualcosa che non capivo ma che mi faceva sentire reale,come la terra sotto le mie carni ed gli alberi sopra di me. E i sospiri di quell'uomo mi rendevano viva,potente,immortale.
Ma a mie spese capii che quella sensazione sarebbe durata per lo spazio di un amplesso.
Poi ancora e di nuovo il niente.
Cominciai ad affinare armi e astuzie .Giocai a farmi inseguire anche se io regina e padrona reggevo le redini di ogni testa.
Mi sposai per avere radici e faccia da esibire.
Ma continuai a cercare conferme. Sempre più spietata,sempre più crudele.
Mi riempii di specchi ,memore di quel sogno infame., perchè per me erano come bussole per ritrovarmi,per avere la certezza che esistevo veramente.
Aprivo gli occhi e mi guardavo, bella come il più velenoso e subdolo dei serpenti. E proprio come questi ero sempre all'erta per sferrare l'attacco finale.
Perchè gli uomini mi adoravano prima di avermi. Dopo non più.
E allora io mi vendicavo,perfida mantide religiosa. E quel filo che tendevo sottile intorno al loro collo diventava l'arma .
Uccidevo. Uccidevo con facilità perchè erano ormai involucri,simboli putridi e nauseanti. Inutili.
Il mio cuore era sigillato come le lettere che vedevo tra le mani di mio marito. Lettere che parlavano di me ma che lui ormai non leggeva più. Troppo stanco e vecchio per poter protestare.
La bellezza era la mia chiave .E io l'usavo sfrontata. . Perchè attraverso lei ritrovavo me stessa. Attraverso lei cuore,ossa e sangue avevano un senso.
Dicono che impazzii per una ruga un giorno.
Dicono che incontrai il Diavolo .
Dicono che gli ho venduto l'anima in cambio della mia eterna giovinezza.
Non ci credere.
Io sono impazzita per un amore.
Perchè cosi all'improvviso sono comparsi due occhi grigi,pesanti .
Due occhi senza passato né futuro.
Il più futile degli incontri.
Un fazzoletto caduto e una mano tesa a ridarmelo.
E un incontro di sguardi. E di cuori.
E' stato come essere morta da sempre e all'improvviso resuscitare.
Ho sentito le vene riempirsi di sangue nuovo,i polmoni riempirsi di aria ,ma quella buona.
Le sue parole me le ripetevo la notte prima di addormentarmi,i suoi baci li sognavo e li assaporavo mentre passeggiavo,mentre leggevo,mentre parlavo con le altre donne.
E lui arrivava di nascosto quando voleva e io ero sempre pronta,sempre attenta.
Gli concedevo tutto di me e non avevo nemmeno più bisogno degli specchi.
Io l'amavo come il mare ama la sabbia.,accarezzandolo,avvolgendolo con tutta me stessa.
E questo mi faceva sentire viva,vera.
Il diavolo?si ,forse era veramente il diavolo.
E' che uno si aspetta di vederselo davanti con le corna e la coda,schiumante di fuoco vivo.
Quello che non ti aspetti è che abbia le sembianze di un angelo pesante,di quelli che non possono volare. Di quelli che per qualche motivo sono angeli maledetti.
L'anima?si,mi ha rubato l'anima. Ed il cuore. Ed ogni singolo organo di questo corpo.
L'ho rincorso ed amato per anni.
Ho giocato a volte,ho tradito anche lui per riuscire ad udire da quella labbra indemoniate:
“Ti amo”
Ma non me lo ha mai detto.
A volte mi è sembrato di scorgerlo quel sentimento in un'ombra degli occhi,in una piega di quelle amate labbra.
Ma sbagliavo.
Perchè all'improvviso se ne è andato.
Cosi,scivolando sul velluto dei giorni,senza far rumore
E io sono rimasta sola.
E sono diventata vecchia ed avvizzita come una mela alla quale è stata tolta la linfa.
Il dolore è cresciuto.
Gli specchi di nuovo vuoti come quel sogno antico.
Ti diranno che è venuto a prendermi il Diavolo.
Non è vero.
Ci sono andata dritta io all'Inferno.
Perchè ero una schiava ormai marchiata a fuoco da due occhi grigi.
Schiava,felice di essere tale.
Ma una schiava senza padrone non ha senso né direzione.
Sono salita fino in cima alla Torre.La mia veste nera come la notte intorno a me,la campana che stava per suonare,il vento forte,il mio cuore addolorato e due grandi occhi grigi che mi guardavano.
Poi il niente,
Solo un grande e assoluto silenzio.
Niente più dolore.
Niente più sapori,odori.
Niente più vita.
Occhi chiusi per sempre e il mio viso addormentato sotto questo specchio di acqua.
Questa è la mia storia e tu non aver paura.
Ho solo voglia di raccontare a chi avrà tempo e voglia di ascoltare quanto può far male amare.
Non aver paura.
Ho solo ossa e occhi vuoti.
Ormai.

Il Demone dei perizomi 

Di una cosa era convinta la signorina Caterina Fornabaio quel pomeriggio.
Del resto era sempre stata una scolara attenta e  se la ricordava ancora bene la lezione della signora Artemide,la catechista.
"Il Paradiso è oltre le nuvole,in alto.L'Inferno si trova sotto di noi,invisibile,strisciante,proprio sotto i nostri piedi".
Ecco perchè era straconvinta che l'inferno avesse avuto una promozione.Era salito di grado.Era intorno a loro subdolo, serpeggiante.Chissà,magari era una promozione per merito,visto ormai il numero esorbitante di iscritti.
Se lo ripeteva tra sè e sè,durante il turno pomeridiano al grande magazzino,mentre era intenta a sistemare quei minuscoli pezzettini di stoffa che lei si ostinava a chiamare mutande.
"No,signorina Fornabaio,sono perizomi,non mutande e cosi li deve chiamare davanti alle clienti" le ripeteva ogni volta la sua responsabile.
Ma lei non voleva cedere alle parole del Diavolo.Perchè quei minuscoli fili erano solo strumenti diabolici.E recitava due aveMaria e tre Paternoster ogni  volta che ne toccava uno per sistemarlo sulle grucce.
Viola,blu,rossi,rosa.
Che scandalo,che malaffare pensava mentre guardava le mani peccatrici e golose delle clienti.
Una volta ne aveva pescata una mentre se lo infilava furtiva nella borsa.Avrà avuto una quindicina di anni.L'aveva presa per le orecchie e trasportata in uno dei camerini.E mentre la poverina supplicava di non essere denunciata lei cercava di sciorinare tutto il Rosario in due minuti e otto secondi,imponendole le mani sulla testa.Perchè in fondo si sentiva quasi un'esorcista la signorina Caterina Fornabaio.
"Esci,esci da questo corpo demone dei perizomi e della lussuria"
E la poverina non piangeva più.
Aveva gli occhi spiritati.
Per l'esorcismo che stava funzionando pensava la signorina Caterina.
Perchè questa è pazza,pensava la ragazza,cercando di escogitare un sistema per iniziare a parlare in aramaico e girare la testa a trecentossessantagradi "perchè cosi magari sta matta me lascia"
Si era salvata la sfortunata ladruncola fingendo conati di vomito come aveva visto fare ne "L'esorcista"
E con la promessa della messa ogni domenica mattina dai frati Cappuccini l'aveva lasciata andare.
Caterina Fornabaio detta anche la mano destra di Dio,pensava lei
Caterina Fornabaio detta anche Chiappa di gallina,dicevano di lei le colleghe ....per quel suo modo di atteggiare la bocca che ricordava appunto le terga dell'animale in questione.
Sempre sprezzante,sempre chiusa in quelle camicette giallognole e stantie,con l'occhiale calato sul naso.
Quel pomeriggio era arrivato il carico natalizio del Demone dei perizomi.Sottili fili interdentali rossi con frizzi,lazzi,piume e merletti.
Era troppo,non poteva sopportare quello scempio.
E decise di intervenire.
Simulò un malanno e chiese un permesso.
Scese nel magazzino.
Aprì gli scatoloni e cominciò a tagliare.
E in un attimo mille coriandoli rossi invasero il pavimento,l'aria,i suoi capelli e le sue mani.
Tagliava e recitava Ave maria.
Tagliava e cacciava demoni.
Finchè non ne rimase nemmeno uno.
Sorrise soddisfatta.
Uscì,stringendosi nel suo cappottino marrone-grigio topo e pensò al favoloso minestrone caldo che la stava aspettando a casa.

LETTERA ALLA BELLEZZA

Camminiamo accanto io e te.
A volte cerco di afferrarti,ma tu scappi via.
Ma come fartene una colpa?
Magari qualche volta provi un lampo di amore nei miei confronti.
E magari una mattina mi sveglio e quella ruga non mi sembra più cosi profonda,quelle mani non mi sembrano più così macchiate. Di quelle macchie che assomigliano tanto alle tacche nel muro. Si,proprio quelle che i genitori fanno per farti vedere quanto sei cresciuto.
Quanto cresci se dormi,se mangi gli spinaci o se vai bene a scuola.
Strani tipi i genitori. In quella crescita ci infilano di tutto,pur di smuoverti,pur di darti un obiettivo o un premio
Ma quella è una corsa in avanti che non vuoi fermare .Vuoi crescere. Subito.
Io le mie macchie le vorrei cancellare .Magari non tutte.
Magari una decina.
Perchè corrono troppo e io non voglio.Perchè le tacche sul muro mi dicevano che non ero mai cresciuta abbastanza.
Ora lo sono troppo.
E non voglio.
Sei crudele,mia cara bellezza .E anche questa è una falsità .Non sei né mia né cara.
Tu non sei di nessuno.
Perchè nessuno ti conserva.
Ma tutti ti cercano,tutti ti amano.
E se è vero che in amor vince chi fugge,tu sarai sempre sul carro della vittoria
Sei una fuggitiva impavida e coraggiosa.Anche quando ti posi sul viso più bello e ti lasci ammirare..Per quanto tempo?
Tu e il tempo .Nemici eppure amanti degni della miglior cronaca nera.
Un tempo pensavo che il vostro scorrere avesse il ritmo della clessidra .Inesorabile,è vero .Ma lento .Di quella lentezza che ti consente di affacciarti dal finestrino e guardare fuori. Come quei vecchi treni di campagna,dove davanti ai tuoi occhi scorrono immagini di vita quotidiana .E tu immagini vite,luci,colori dietro una finestra accesa. Guardi una bicicletta lasciata a terra e immagini il bimbo che la possiede .Osservi una donna che cammina e provi ad indovinare se è felice o meno ,dal suo modo di camminare,di guardarsi intorno,di riavviarsi i capelli.
E invece tu e il tuo amante non siete niente di tutto questo.
Siete veloci.Implacabili.
Due assassini a volte.
Perchè non date più spazio ai sogni,alle possibilità.Perchè la clessidra la agitate fino a romperla.E noi poveri umani?A cercare di non ferirci con il vetro.A cercare di non ferirci troppo.
A volte ti cerco in una crema.La apro,la annuso e cerco la tua anima lì dentro.
Ma tu,un'anima lo sai cos'è?
E quei piccoli pois bianchi,uno sul mento,due sulle guance,uno sul naso mi sembrano un ponte,un tentativo di riconciliazione tra e te e me.
Perchè la mia è stata una separazione non voluta.
Perchè ti avrei voluta sempre con me..
Ma non sei nemmeno lì dentro.
E svuoto il barattolo,forsennata,golosa,avida.
Ma non ci sei.
Senza traccia.Senza orme.
E allora ho deciso di scendere.
Nel luogo più impervio e più ostile.
Ti cerco lì.
Ultimo avamposto prima del nulla.
Ti cerco dentro di me.
Sarai nel cuore,sarai nello stomaco o in un rene.Non lo so.
Ti cerco negli abissi della mia mente,negli abissi dei miei ricordi.
Perchè ho bisogno di te.
Come un naufrago dopo giorni di sete con solo un mare salato a disposizione.
Frugo,sposto cassetti di memoria,tolgo briciole di pensiero.
E trovo l'odore della mia mamma.
E il suo abbraccio.Quell'abbraccio che ti fa sentire unica e bellissima.
Apro un altro cassetto e trovo il mio primo rossetto.
Rosso fuoco e la mia prima sigaretta.E anche l'ultima.Una macchia rossa,le mie labbra e una tosse irrefrenabile.Una piccola donna che giocava a fare la grande.
Una tenerezza indicibile mi pervade.
.Due cassetti più in là c'è una donna vestita di bianco.
Li ti ho afferrato mia cara bellezza.
Ti ho tenuta stretta a me per tutto il giorno.

A destra c'è il cassetto più grande.E' quello più in ordine sai?Ci sono scarpine rosa,tutine con gli orsetti,due piccoli biberon.Il profumo è inebriante.Mi sa di casa,mi sa di mio.Me lo sento nelle viscere,nelle carni,nel sangue che scorre.
Osservo due piccole neonate.
Osservo e ricordo me stessa con loro.
Le loro risate,le mie.
Le preoccupazioni,le lacrime,le ginocchia sbucciate.
Annuso l'aria più forte.
C'è anche un altro odore.Leggero ma persistente.
Forse sa di violetta,o forse di talco.Ma lo riconosco.
E' il tuo.
Il sorriso allarga le mie labbra fino a farle diventare enormi,enormi come quelle del migliore dei clown.
Sono arrivata alla fine di un percorso impervio.
Ti ho trovata,mia cara bellezza.
Ti ho trovata perchè non ti ho mai persa.
Sei sempre stata accanto a me.
Fedele compagna.
A volte ben visibile,stampata sul mio viso di ventenne.
Molte altre ti sei infilata felice negli accadimenti della mia vita.
E se non hai reso bella me,hai reso belle le cose della mia vita.
Profumate d'amore.
E ora rendi struggenti ma degni di esserci i miei ricordi.
Ho capito una cosa fondamentale.
Tu ci sei sempre.
Basta saperti cercare.



Dedicato a chi rincorre inesorabilmente il tempo,a chi lo vuole fermare,a chi vive nel passato,a chi rincorre ideali scaduti come il latte dimenticato nel frigo.

IL SIGNOR TESTA TONDA

Il primo giorno perse le monete. Il secondo le banconote. Il terzo perse il cuore. Il quarto perse se stesso.
In quella stanza verde si rese conto che ormai al mondo erano rimasti in due. Lui e il suo fallimento. Anzi in tre. Bisognava anche contare il suo amatissimo nemico:il computer. E accanto al computer il suo portafoglio. Vuoto. Vuoto come il suo frigorifero d'agosto, vuoto come il tubetto del dentifricio, vuoto come quella sua testa tonda tonda.
"Potrebbe conquistare il mondo questo ragazzo se solo lo volesse, se solo si impegnasse".
Questa la litania dei colloqui con gli insegnanti. Tutti, nessuno escluso. Se solo... Quanto odiava quelle due paroline, capaci di procurargli un'estenuante quanto imbarazzante prurito in tutti quei luoghi del corpo umano che il sole, ahimè, aveva deciso di non illuminare.
Ma poi questo mondo, detto tra noi, perché lo doveva conquistare? Lui non voleva nulla. Desiderava trascorrere la sua vita semplicemente seduto davanti quel monitor e comprare. Si, comprare. Aveva affinato la sua abilità nel corso degli anni, cosa pensate?Anche se, a guardare bene la questione, la sua abilità era proporzionalmente inversa al suo conto in banca. Più quella cresceva più diminuivano le poche sostanze che aveva a disposizione. Ma nella sua testa Tonda questo era semplicemente un dettaglio. Almeno all'inizio, s'intende…Anche perché... anche perché ad un certo punto davanti quella testa tonda tonda era apparsa lei.
Teodora, lunghe gambe e gran portafoglio.
Sia ben chiaro però, lui se ne era innamorato. Che non venga in mente a nessuno di affermare il contrario. Tutto era bello in lei, gambe occhi e appartamenti di proprietà sparsi in ogni dove. ”Ahhhhhhhh” pensava nella sua testa tonda tonda” tutte dovrebbero prendere esempio dalla mia Teodora. Gambe,vitino da vespa e dichiarazione dei redditi stellare”
Teodora non gli faceva mancare nulla. Mica era avara la ragazza e in fondo era innamorata anche lei. Ci teneva al suo testone amatissimo. Lo coccolava, lo viziava... solo che ad un certo punto aveva trovato un po' strano il fatto che in casa ci fossero otto lettori dvd, undici televisori al plasma, computer anche nella credenza della cucina e tre ciotole per gatti. Ecco, proprio le ciotole furono la pietra dello scandalo. Poteva passare sopra a tutto e ritenere normale che in una casa seppur grande ci fossero lettori e televisori in abbondanza (rispondeva sempre con un'alzata di spalle quando sua madre le faceva notare che era una cosa un po' bizzarra... a meno che non avessero in previsione di farsi clonare e la genitrice non lo consigliava di certo per una questione di stile ed eleganza). Ma le ciotole per gatti no. A lei i quadrupedi in generale non piacevano, di nessun tipo. Poteva tollerare solo il suo testone quando si metteva carponi in camera da letto e faceva il verso del bue tibetano ...questa cosa le piaceva cosi tanto!!! Ma quelle ciotole per lei erano una minaccia, di quelle cupe, di quelle che ti fanno tremare. La nostra Teodora trascorse otto giorni e otto notti a piangere. Vedeva se stessa nel futuro come una pingue casalinga intenta a distribuire croccantini della miglior marca e collari antipulci, anziché biberon e pannolini.
No, non poteva farcela.
I gatti no.
Nemmeno i bambini, per dirla proprio tutta. Era questione di smagliature, mica di mancanza di senso materno. Giammai.
Prese la decisione.
”Lo lascio, prima che arrivino i gatti”.
L'inaspettato era arrivato, con la forza del miagolio di ottocento felini.
Eccolo, era lì. Prendeva contorni, sostanza, odori.
E testa tonda si ritrovò solo. Nei due giorni precedenti l'addio aveva perso monete e banconote.
Quel giorno perse il cuore, l’amore.
La fine di un matrimonio scritta su un post-it “Mi hai deluso, me ne vado. E' finita per sempre.”
Pianse. Pianse lacrime miste come un'insalata.
Un po' d'amore, un po' di nostalgia per la perdita delle cosce lunghe di Teodora, un po' di abbandono e un po' di fame perché erano due giorni che mangiava ghiaccio raschiato dal freezer. Confortante d'estate ma non a gennaio inoltrato.
Ed ora era lì, nella camera verde dove svolgeva il suo lavoro di semplice e annoiato impiegato.
“Se solo Teodora non mi avesse lasciato”
Se solo... di nuovo quelle due paroline.
Ed era lì fermo ad aspettare che arrivasse quella sensazione cosi familiare ed imbarazzante di prurito nei posti più impensati. Eccola, ora arriva... ora mi gratto... E invece nulla.
Se solo, se solo...
Ad un certo punto lo urlò a gran voce, svegliando quel poverino del geometra Consoli che veniva in ufficio per dormire “perché a casa c'è mia moglie e sopportarla mi toglie tutte le energie”.
Anche Testa Tonda spalancò gli occhi, sorpreso dal suo stesso urlo... Occhi che teneva sempre a mezz'asta come una bandiera stanca. Blu, blu erano quegli occhi, Mica male. E la sua testa sembrava anche meno tonda.
Se solo si impegnasse un po' di più, dicevano tutti. E lui non lo aveva mai fatto. Non perché non avesse smanie da Guglielmo il Conquistatore. Lui lo voleva quel pezzo di mondo da conquistare. Avrebbe voluto fare il poeta, l'astronauta o l'attore di film porno perché no? Ma la paura era stata la sua fedele compagna. La rinuncia, la paura di fallire.
E allora aveva preferito abbassare i suoi meravigliosi occhi blu per non vedere più lo splendore della luce. Si era seppellito tra un computer, una carta di credito e mille acquisti per colmare un vuoto profondo come una vita.
E Teodora? Gambe lunghe ma cuore avvizzito come i limoni quando te li dimentichi sul fondo del frigo. Perché l'amore, pensava Testa Tonda, è anche aiutare e salvare l'altro da se stesso.
Come aveva fatto sua madre con suo padre quando con l'amore e la passione lo aveva sottratto alle promesse di una bottiglia di vino
Sulla scrivania, accanto al post-it di Teodora, un altro. Un po' stropicciato, un po' unto. Glielo aveva dato la ragazza della friggitoria. Una chiacchiera oggi, una chiacchiera domani e lei gli aveva dato un numero di telefono.
Il numero di uno di quei dottori che curano l'anima o forse le idee, o forse tutte e due.
Giornate memorabili quelle.
Aveva perso monete, banconote, cuore e se stesso.
La vita non ti chiede mai quello che vuoi, pensava Testa Tonda.
Svolti l'angolo e ti succede qualcosa che non avevi pensato, soppesato, annusato.
E magari ti disperi, lotti come una mosca chiusa in un barattolo.
Ma poi arriva implacabile ed inarrestabile la sensazione di combattere.
Questo pensava Testa Tonda.
In quella nuca, a volte vuota come un pacchetto di sigarette abbandonato, ora correva forte un pensiero: la voglia di farcela, di smettere di comprare oggetti per sentirsi forte, vivo.
E negli occhi, in quei meravigliosi occhi, lo splendore di un nuovo e invincibile amore: quello per se stesso.



Un grande amore


Andrea aveva undici anni e un grande amore.
Diletta il suo nome.
Andrea aveva undici anni e un grande problema.
Perché Diletta di anni ne aveva venti.
Era bella ,di una bellezza che non odorava di vaniglia come quella della mamma.
Ma di sandalo e orchidea.
Lunghi capelli neri e occhi nocciola. E un sorriso che illuminava pure le brutte giornate. Quelle in cui Orlando,detto anche Trinciapollo lo prendeva in giro e gli tirava le palline di carta con la biro. E tutti ridevano delle sue sventure. Orlando era grande e grosso, Andrea era secco secco.
Fiammifero,il suo soprannome. Magro magro e testa rossa.
“La piscina signora,per allargargli spalle e torace” aveva sentenziato il medico di famiglia.
A lui non piaceva mica l'idea della piscina.
Dopo la scuola e i compiti gli piaceva tantissimo stendersi sul letto e immaginare il suo futuro.
Pilota degli aerei militari,come lo zio Max. Con gli occhiali da sole,la tuta verde e il casco sottobraccio.
Caspita,se avesse potuto indossarla già ora.
Diletta non avrebbe avuto occhi che per lui!
La mamma aveva ascoltato il consiglio del medico.
Costume e cuffia d'ordinanza,accappatoio di due taglie più grandi “Tanto cresci”,aveva detto la mamma e il patibolo era diventato realtà.
Un patibolo umidiccio,afoso e pieno di ragazzini urlanti e di mamme che odoravano di caffè,fumo e  pettegolezzi.
Un istruttore carogna convinto che l'unica maniera di prender confidenza con l'acqua fosse quella di spingere la testa. Si,proprio spingere la testa sott'acqua e contare fino a dieci.
Ma Andrea conosceva bene il concetto di proprietà privata. Lo aveva sentito spiegare tante volte nello studio del suo papà avvocato.  E cercò di spiegarlo anche al suo istruttore “La testa è mia e decido io dove metterla”...ma l'unico risultato fu quello  di far infuriare quel vichingo biondo.
Lo fece uscire dalla vasca “La tua lezione finisce qui oggi” gli disse.
E Andrea già sentiva i rimproveri della mamma nelle orecchie. Li sentì sotto la doccia,sotto quel ridicolo tubo che emetteva aria calda per asciugare i capelli. Se li sentiva addosso ,spiaccicati come i tatuaggi di Trinciapollo.
La mamma gli aveva detto di aspettarlo nella sala del bar della piscina. Andrea si trascinò lì,mancava ancora mezz'ora.
Meglio masticare un po' di gomma.
“Mi dà un pacchetto di gomma alla menta,per favore?”
“Eccole piccolo”
Una semplice frase capace di spalancare all'improvviso le porte del Paradiso
E fu Natale,Pasqua e il giorno del suo compleanno. Furono strade lastricate dei suoi dolcini preferiti e costellate di aerei e tute da pilota.
Fu Diletta ,i suoi occhi e la voce.
La mamma lo trovò cosi. Seduto ad un tavolino di quel bar che fissava il vuoto ,inebetito. Dopo avergli toccato la fronte per sincerarsi della sua salute,gli sciorinò due o tre rimproveri. Caddero nel vuoto,come palloncini sgonfi. Andrea non rispondeva,continuava a guardare quel punto fisso. La mamma seguì il suo sguardo e la linea del suo orizzonte fu riempita da una figura femminile.
E allora capì quello sguardo. E una piccola sottile fitta le incrinò il cuore,proprio lì,proprio nell'angolo più nascosto.
Perché comprese di  non essere più la regina unica e incontrastata di quel piccolo uomo.
Era iniziata una piccola ma irreversibile caduta del trono.
Durò un momento ma fu dolorosa.
Più di un travaglio.
Ma poi arrivò implacabile e sana l'ondata di tenerezza.
Il suo piccolo stava crescendo. E cosi il suo cuore.
“E anche il gusto”,pensò la mamma di Andrea vedendo la grazia di Diletta.
La piscina divenne l'attività preferita di Andrea da quel momento in poi. Accettò teste sott'acqua e il fiato puzzolente del vichingo biondo. Doveva crescere e farsi le spalle grandi...perché Trinciapollo gli aveva detto che alle ragazze piacevano.
E masticò gomme su gomme,caramelle alla frutta e panini al salame.
Tutto per poter sentire la sua voce melodiosa e sentire la sua mano che gli arruffava i capelli ogni volta che lo incontrava.
Per San Valentino le disegnò un enorme cuore e ci appiccò con la colla una margherita. Fu una giornata memorabile,Diletta gli diede tre baci. Due sulle guance e uno sul naso.
Andrea quel giorno rifiutò di andare in vasca. L'acqua avrebbe tolto il sapore e l'impronta di quei baci dalla sua pelle.
L'anno passò in fretta e la temuta estate arrivò .Piscina finita,saggi di fine corso e tanti “Arrivederci a settembre”.
Ma fu un settembre amaro. Al suo rientro Diletta non era più al bar.
Aspettò il lunedì e il mercoledì.
Al venerdì capì che sarebbe rimasta tutto l'anno quella grassona antipatica e supponente dietro il bancone del bar e non più la sua amata.
Quella fu la seconda grande delusione della sua vita.
La prima era stata scoprire che Babbo Natale non esiste.
La seconda la scomparsa di Diletta.

Andrea aveva quarant'anni e un grande amore.
Gli aerei.
Andrea aveva quarant'anni e un grande problema.
Sua moglie.
Gli anni erano passati galoppando. Gli aerei era diventati realtà cosi come due splendidi figli. Marco e Diletta,chiamata così in onore di quel puro e innocente amore dei suoi undici anni.
Gloria la donna che gli aveva reso prigioniero il cuore e ne aveva fatto poltiglia. Per lei aveva rinunciato a missioni all'estero,ad amici fraterni e al sonno. Si,proprio al sonno. Perché lei di notte  considerava un affronto il pianto dei bimbi. E lui aveva preparato biberon,cambiato pannolini e cantato ninne nanne stonate. Tutto per i suoi figli e per quella bella e inafferabile moglie.
Ma non era bastato. Ormai erano come due continenti alla deriva. Continenti con direzioni opposte,purtroppo.
Ma non c'erano piatti da tirare o recriminazioni da urlare in faccia.
C'era l'indifferenza di Gloria e la paura di Andrea. Paura del domani,della solitudine,paura di non poter più ascoltare tutte le sere il respiro tranquillo dei suoi figli mentre dormivano. La paura di un domani senza più certezze. Ora le aveva,seppur stantie. Si aggrappava ad una Gloria recalcitrante e indispettita che anelava ogni mezzo secondo alla loro separazione. Ma forse le pesava la dipendenza di Andrea. Le tagliava le gambe,la faceva sentire carnefice e colpevole. E allora rinunciava,covando rancore.
Quel giorno tirava un vento gelido. Era il lunedì prima di Natale. Andrea camminava piano lungo le strade del suo quartiere. Aveva portato le medicine alla sua mamma,sfuggendo quello sguardo indagatore che gli bruciava l'anima. Non le aveva detto nulla della sua fallimentare vita matrimoniale.
Un bar all'angolo e la voglia di qualcosa di caldo.
“Desidera?”
E fu di nuovo Natale,Pasqua e Capodanno. Perché la voce era la stessa. E anche gli occhi e anche i capelli. Un po' di rughe qua e là sparse con sapienza.
“Un cappuccino” chiese Andrea.
“Perdoni l'ardire,ma per caso lei si chiama Diletta?E ha lavorato alla piscina qui in fondo?”
“Si” rispose sorpresa “come fa a saperlo?”
“Io sono Andrea ,ti ricordi?Quel bambino al quale arruffavi i capelli,quello che ti ha fatto il disegno di san Valentino?”
Diletta aggrottò le ciglia e Andrea si rese conto che le rughe non erano sparse con sapienza. Erano ragnatele che avevano imprigionato la gioia di quegli occhi nocciola.
Ora erano inespressivi e anche un po' infastiditi. Oltre che banali.
“No,mi spiace non mi ricordo proprio”
E tornò agli altri clienti.
Andrea si mise a sedere nell'angolo più buio
“Guardi che se vuole star seduto, mi deve il supplemento per il tavolo “ gli disse Diletta.
Andrea in quell'angolo mandò giù sorsi di cappuccino e delusione. Delusione per quel che era successo,per se stesso ,per Gloria e per tutti gli amici dimenticati per strada così come  i pezzetti di se stesso.
Osservava quella chioma scura muoversi e cercò di ricordare solo il bello di quella cotta
Immaginò di essere Andrea e avere undici anni.
Immaginò di avere un grande amore,quello per gli aerei ,e una passione per degli occhi nocciola.
E cercò di ricordare il suo entusiasmo e la sua voglia di vivere. Cercò di ricordare Trinciapollo e le palline di carta.
L'odore di vaniglia della sua mamma e quello di sandalo e orchidea di Diletta.
Il vichingo biondo e le sue spalle che crescevano sempre di più.
Perché si rese conto che non erano importanti i volti della sua vita ma quello che gli avevano dato. Era importante la sua gioia e la sua forza.
E allora capì che si può nascere non solo una volta...ma dieci,cento,mille. Capì che una strada interrotta non è un fallimento ma solo un'inversione di marcia.
Il domani era un grande punto interrogativo,è vero.
E la vita non ti chiede mai cosa desideri per davvero.
Ma tutto era ancora da inventare.
Con forza e passione.
 Era incertezza e paura, ma anche sconfinate possibilità.
Aveva due meravigliosi bimbi,un tetto sopra la testa e aerei da guidare.
Andrea aveva quarant'anni e un nuovo grande amore:
finalmente se stesso.



LA VECCHIETTA


Pensi sempre che ci sarà tempo .
Tempo per gli acciacchi,per l'osteoporosi e per le dentiere.
Pensi che gli anni passeranno lenti pur nella loro velocità. E non ti preoccupi,vivi incurante.
Cosa t'importa di capelli grigi e femori barcollanti?
Poi di colpo ti accorgi.
Ti accorgi che ci sei arrivata.
E lo vedi da uno sguardo alzato al cielo,da un tono di voce più astioso del solito.
Signore e signori,la vecchiaia è arrivata.
Sono giorni che mi risuona in testa un vecchio motivetto :”Il vecchietto dove lo metto,il vecchietto dove lo metto”
Lo cantava la mia mamma mentre faceva il bucato nella fontana del paese.
Il vecchietto dove lo metto era mio nonno. Pelle cotta dal sole e perennemente arrabbiato.
Viveva in casa con noi,rendendo la vita impossibile a tutti. Mia mamma sbuffava e sopportava dicendo che “La vita l'è 'na rota:tocca a tutti prima o poi”.
Lei il poi non lo vide mai. Se ne andò leggiadra una mattina di primavera. Sorriso eterno e ancora giovane.
Un'uscita di scena clemente. La vecchiaia non l'aveva toccata e di lei era rimasta solo la scia della gioventù e il profumo di rosa.
Il primo segnale era stato dimenticarsi di Gino,il mio gatto.
Unica compagnia delle mie vuote serate (mio marito se ne era andato ormai anni fa in compagnia di Desdemona,affascinante badante di mia suocera. ),Gino era stato la croce e la delizia delle mie figlie .Perché davo da mangiare prima a lui che a loro ,perché mi preoccupavo più di pettinare il suo pelo piuttosto che fare i codini alle mie nipoti.
Già,una casa di tutte femmine.
Un posto dove manco il Diavolo in persona avrebbe messo piede!
Gino era solito fare una passeggiatina digestiva notturna nel terrazzo condominiale. Un'ora e poi andavo a chiamarlo. Quella sera non lo feci. Me ne andai tranquillamente a riposare.
L'indomani mattina mi suonò il ragionier Giusti
“Gilda le riporto il gatto. Sappia che se rifarà di nuovo la pipì sul mio zerbino,avviserò l'amministratore .E le farò scontare tutto:pipì,zuppa di cipolle e briciole post -prandiali sul mio balcone”
Dannato ragioniere. Una spina nel fianco da vent'anni circa.
Gino mi fissava astioso. Una ciotola di croccantini per fare pace e spiegare a me stessa perché.
L'inconsueto era planato nella  mia vita fatta di abitudini calde e rassicuranti.
Poi fu un fornello lasciato acceso,il ferro da stiro su una camicia,un discorso ripetuto più del necessario.
Io soprassedevo ,rimandavo l'incontro con la realtà.
Mi rendevo conto che stavo mutando pelle come un serpente avariato (o inacidito secondo Stella,la mia terzogenita).
Perché dirlo a gran voce era rendere reale il mio ingresso nel terzo stadio.
L'ultimo stadio.
La vecchiaia.
La vecchietta dove la metto,dove la metto non si sa.
E allora stavo zitta anche con me stessa..
Mica me l'aveva chiesto la vita cosa volevo.
E di certo non volevo diventar vecchia.
Pardon,anziana, che fa più chic. E allora stavo zitta.
E più stavo zitta più la lingua mi si attaccava ai denti e non si muoveva più.
Ecco,il silenzio.
E le mie figlie accanto
“Sarà la pressione,sarà la glicemia,saranno gli acidi urici”
Non era niente,ero sana come un pesce.
E ad ogni analisi ritirata cresceva il loro astio. Ma non ha nulla?E allora?
Allora niente. Semplice ritorsione la mia.
Mi piaceva vederle preoccupate per me,ansiose. Stavo presentando loro il conto di nottate ansiose,di ciucci,di biberon e pannolini sporchi..Presentavo il conto della solitudine. Tutte mi avevano abbandonato per sposare uomini che io vedevo solo a Natale,quando dietro ad un panettone rancido del discount ,nascondevano una mano tesa a raccoglier soldi
“Tanto la vecchia ha preso la tredicesima”
Gongolavo ad ogni lite,ad ogni muso lungo.
La mia esistenza trasudava di vecchiaia ed egoismo.
E di silenzio.
Le guardavo e non parlavo.
Mamma ma cos'hai?
Niente,non ho niente.
Ho solo tanta rabbia.
Rabbia per quello che non ho vissuto,che non ho avuto,rabbia per quel demente (che possa esalare l'ultimo alito tra le cosce di Desdemona). Rabbia per la giovinezza delle mie figlie e per queste dita tremanti.
Sto zitta,sta zitto il mio respiro.
La vecchietta dove la metto,dove la metto non si sa.
Fanno i turni le mie figlie.
L'Assunta a colazione,la Maria a pranzo e l'Elide a cena.
Mamma non si può andare avanti cosi.
E che diamine,mica l'ho chiesto io di diventare vecchia.
E mica mi hanno dato il libretto di istruzioni.
Ieri correvo per prendere il tram oggi mi trascino a fatica dalla cucina alla camera da letto.
Tutto in un attimo.
Mamma vieni a casa nostra.
Tre mesi qua,tre mesi là.
Un pacco postale. Una raccomandata senza ricevuta di ritorno
La vecchietta dove la metto,dove la metto non si sa.
In ospizio mi hanno messo.
Minestrone e pillole per la pressione.
La vecchia che non parla mi chiamano.
Ascolto le voci intorno a me. Ascolto quelle facce rugose lamentarsi del tempo,delle ossa e delle dentiere. Guardo le mie figlie arrivare,cupe come se dovessero sbrigare un compito di matematica.
E andarsene con la stessa faccia che avevano durante l'ultimo giorno di scuola. Felici e sollevate.
La vecchietta dove la metto,dove la metto ...si sa.
In un angolo.
In punizione.
Per non aver vissuto abbastanza quando era il momento,per non aver sputato i noccioli delle ciliegie in testa al ragionier Giusti. Per non aver amato liberamente quando la carne era soda e liscia,per non aver gridato a squarciagola sulla collina delle Fate.
In punizione.
Per aver capito tardi che la vita non è quella che verrà.
E' semplicemente il respiro di quest'attimo.
Nulla di più.
Nulla di meno.



Commenti

  1. O cavolo! Mi hai fatto venire la pelle d'oca! Ho sentito tutta la disperazione dentro, ho capito! Ho capito forse perchè l'ho riconosciuta, forse perchè anche io ho cercato tanto, ho sbagliato....forse....

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  2. no so che scrivere Monica, non so che dire. e non è facile lasciare me senza parole.
    E' stato come essere morta da sempre e all'improvviso resuscitare.... credo sia scritto tutto qua.
    Sandra

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  3. Perchè all'improvviso se ne è andato.
    Cosi,scivolando sul velluto dei giorni,senza far rumore


    Sarà che l'abbandono mi terrorizza, ma queste due frasi mi hanno colpito più di tutto...forse perchè per me il succo della storia sta qui dentro, nella meravigliosa attesa dell'amore e nella sua totale ma quasi impalpabile disperazione quando scompare.
    Ti adoro PatMo

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  4. Questa storia mi ha riportata indietro di tanti anni...toccante...e le parole non bastano....Grazie di quest attimo

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